John Barth Quote

Daniel C. Dennett, un filosofo della Tufts University che ne sa sia di neuroscienze che di informatica, sostiene che la coscienza stessa ha un aspetto essenzialmente narrativo, radicato nell’evoluzione biologica del cervello. Non ho la competenza per riassumere le argomentazioni di Dennett, ma vengo persuaso d’acchito dalle sue conclusioni – perlomeno se considerate come una narrazione esplicativa. Egli concepisce la coscienza essenzialmente come «creatrice di situazioni immaginarie in stesure multiple»; concepisce il sé come un come se, un «ipotetico Centro di Gravità Narrativa» – in breve, una fantastica e incessante narrazione. «Noi siamo le storie che raccontiamo a noi stessi e agli altri riguardo a chi siamo», afferma il professor Dennett – storie che rivediamo e rettifichiamo in continuazione e che in continuazione rivedono e rettificano noi stessi.A questo punto vi chiedo: il meditare su domande del genere ha mai reso chicchessia uno scrittore migliore? Non sarebbe più saggio se un narratore meditasse sulla casistica dell’amore, sui particolari di un tramonto, o magari sulle vicissitudini della nave spaziale U.S.S. Enterprise? Forse sì, forse no. Ma nel porci domande del genere, come nel creare di continuo situazioni ipotetiche, facciamo quello che ci viene naturale – che forse viene più naturale ad alcune persone che ad altre.

John Barth

Daniel C. Dennett, un filosofo della Tufts University che ne sa sia di neuroscienze che di informatica, sostiene che la coscienza stessa ha un aspetto essenzialmente narrativo, radicato nell’evoluzione biologica del cervello. Non ho la competenza per riassumere le argomentazioni di Dennett, ma vengo persuaso d’acchito dalle sue conclusioni – perlomeno se considerate come una narrazione esplicativa. Egli concepisce la coscienza essenzialmente come «creatrice di situazioni immaginarie in stesure multiple»; concepisce il sé come un come se, un «ipotetico Centro di Gravità Narrativa» – in breve, una fantastica e incessante narrazione. «Noi siamo le storie che raccontiamo a noi stessi e agli altri riguardo a chi siamo», afferma il professor Dennett – storie che rivediamo e rettifichiamo in continuazione e che in continuazione rivedono e rettificano noi stessi.A questo punto vi chiedo: il meditare su domande del genere ha mai reso chicchessia uno scrittore migliore? Non sarebbe più saggio se un narratore meditasse sulla casistica dell’amore, sui particolari di un tramonto, o magari sulle vicissitudini della nave spaziale U.S.S. Enterprise? Forse sì, forse no. Ma nel porci domande del genere, come nel creare di continuo situazioni ipotetiche, facciamo quello che ci viene naturale – che forse viene più naturale ad alcune persone che ad altre.

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About John Barth

John Simmons Barth (; May 27, 1930 – April 2, 2024) was an American writer best known for his postmodern and metafictional fiction. His most highly regarded and influential works were published in the 1960s, and include The Sot-Weed Factor, a whimsical retelling of Maryland's colonial history; Giles Goat-Boy, a satirical fantasy in which a university is a microcosm of the Cold War world; and Lost in the Funhouse, a self-referential and experimental collection of short stories. He was co-recipient of the National Book Award in 1973 for his episodic novel Chimera.